Non più Dimessa

Una sinfonia…
Una lacrima…
Un ricordo…
I calzari consumati dal terrore, l’immagine  di una donna stropicciata  dalla sofferenza di non poter essere sè stessa, la paura veste tutti allo stesso modo e irrigidisce i volti.
Ogni donna è chiamata a fare festa,ognuna vuole abbandonare per strada quel velo e lasciarlo nel vento di quello che è stato e mai più sarà… Oggi siamo icone di eccellenza e non è più di moda  abbassare lo sguardo. Oggi siamo promotrici della rivoluzione, dell’incalzare ribellione…
Aperte le ali del sogno la forza ci incise l’anima a tempo indeterminato, un impeto che sembra non aver mai sottratto una  così significativa convinzione  dell’essere. Il muro della censura ha cominciato ad incrinarsi,  e la gente ha  aperto gli occhi.  Siamo brave noi a fiutare il vento, a percepire i desideri di libertà d’espressione. Siamo brave noi, a non abbassare quello sguardo, a non essere geisha delle convenzioni, dei pregiudizi, a non arrendere il respiro e cedere la mano. “L’urlo a forza di vita spezza il mare incontestato  dell’indecenza e trova nella pietra del fondamento la grazia dell’affiorare.”

Tra le due sponde del Mediterraneo  c’è un mare d’infomazione che attende che il Mondo sappia… C’è un mondo in movimento, non stiamo alla finestra!
Tra gli orti  degli eventi, donna  tu sei la docile radice tuberosa confitta nella terra,ti vedo come l’ombra del vino nel bicchiere, il sapone che lava questo mondo dall’ ignoto, il miele  che gli ridona dolcezza e misura, nelle stanze mezze chiuse del sapere.

Sei lingua di sutura del riposo dei bambini, un giro in passerella col vestito nuovo , quello che osa e fa parlare di te, senza più alcuna repressione.

Il tuo sguardo progressista colleziona successi per un futuro in vista di sviluppo ed integrazione. Hai liberato i discorsi “razzisti” ,non hai dato tregua alla finta tolleranza, hai impiantato un nuovo credo in una terra. Perchè l’unica sottomissione che l’uomo conosca e conoscerà è quella a DIO!

Quando il peggio accadrà, rammenterò a me stessa che posso e voglio superarlo.

Sono rimasta sbalordita dalla grande forza che ho scoperto in me stessa e nelle persone disperate che ho conosciuto.
Ora so che, per quanto terribili siano i problemi che mi si prospettano,esiste in me una forza inesplicabile e una gioia futura. E, certamente quella stessa forza la possedete anche voi.(Helen Exley)

Diventare Adulti…

La mia generazione, una volta compreso che doveva battersi contro le forme dell’autoritarismo, si è dimenticata, quando è diventata adulta (genitore, padre, madre, ecc)di essere autorevole.
Credo che l’intelligenza di un genitore si verifichi proprio in questa capacità di amare ciò che si allontana da te. Quando un genitore ama il controllo dei propri figli ama il suo egoismo. P Crepet

Giornata tipo di un adolescente:
Ore 7,15. A volte non riconosco il luogo in cui mi risveglio, a volte mi è troppo familiare.

Ore 7,20. In bagno avviene il primo impatto con lo specchio. Il mio volto, la mia figura, la mia immagine esteriore mi osserva attraverso quella lastra e sembra vedere nei luoghi più remoti di me stessa, mentre io ancora li conosco ben poco. Quell’immagine che mi guarda sono io. Ma cosa significa? Cosa? O meglio chi so io, chi è quella? Anche gli altri mi vedono così?

ore 8,10. Arrivo nel cortile di questo grande edificio chiamato “Scuola”. È qui che imparo a porre le basi della mia visione del mondo adulto, in cui adesso mi affaccio soltanto, ma in cui tra pochi anni dovrò entrare, é qui che mi distinguo, in mezzo a qualcosa che non mi appartiene ancora, ma verso cui mi sto dirigendo, che mi rifugio, trovando tanti elementi che mi accomunano agli altri, in questo percorso da seguire.
Giornata “tipo” di un adolescente:

Ore 8,20. In questo momento provo quella sensazione di oppressione che sentirò ancora molte volte nel corso della mattinata. Mi opprime l’idea che questa non sia una libera esperienza costruttiva, ma l’espressione di uno schema rappresentativo della società adulta. Questo comunque è il luogo dove dovrei formare la mia coscienza critica ed è perciò teatro dei miei cambiamenti quotidiani.

Ore 13,50. Uscendo dal portone, il cielo. Di nuovo me stessa per un po’. La caratteristica di comprendere noi, un lato bambino ed un lato maturo, ci distingue in un mondo di adulti a cui siamo destinati e ci porta a chiedere: “Chi siamo? Che ruolo abbiamo?”. Avvicinandoci a definire la forma della nostra sostanza, ci chiediamo, senza conoscere risposta, la nostra reale identità.
P. Crepet psicologo psicoterapeuta in diaologo con i giovani afferma:

 “In ogni minuto della vostra vita si verificano eventi, una sequenza continua di”fatti”, sono eventi che trovano tempo e luogo non solo nell’adolescenza umana, anche se, in seguito, lungo la vita adulta il ritmo degli accadimenti personali può tendere a rallentarsi con il tempo.

Quei fatti devono verificarsi, poiché si può crescere solo attraverso delle continue crisi, mai in un senso puramente lineare. Si cresce tramite delle esplosioni, nonché tramite dei tonfi, poi attraverso delle gioie immense, poi con degli enormi dolori.

Nella vita, la maturità si può raggiungere solo attraverso un percorso straordinariamente avventuroso. È lì tutto il bello della vita!

Noi siamo, fondamentalmente, ciò che abbiamo appreso. Abbiamo appreso qualcosa dalla mamma, abbiamo appreso qualcosa dal papà, abbiamo appreso dalla nonna, dalla zia, dal cugino, dall’ambiente, dal bar, dalla scuola, dai professori e dal loro sadismo. Per capire veramente chi siamo dovremmo compiere diverse manovre. Una di queste manovre potrebbe essere quella di tornare indietro nel tempo. Ad esempio: tornare indietro con la memoria al ricordo di una fotografia di una famiglia che non esiste più. Per capire chi siamo, dovremmo capire chi sono stati i nostri nonni, non ci basta comprendere l’identità dei nostri genitori. I genitori equivalgono a dei fatti di vita troppo freschi, possono riportarci, al limite, alla nostra quotidianità, non alla nostra storia.

La nostra storia corrisponde ai nostri nonni, ai nostri bisnonni.
Solo quando ci incontriamo con questi aspetti delle nostre origini possiamo capire veramente chi siamo.
La seconda cosa dovrebbe essere un’opera di spoliazione da una serie di cose, di aspetti, che ci sono stati messi addosso, come dei “cappotti”. Bisognerebbe fare come disse Michelangelo Buonarroti quando scolpiva le sue opere egli affermava di togliere solo del marmo, un po’ di materia, mostrando a tutti quel che si trovava dentro quel pezzo di marmo.
Questa è la più bella, credo, descrizione dell’identità personale. L’identità personale è ciò che si libera dall’interno di ognuno di noi, dopo che siamo riusciti a toglierci di dosso ciò che è inutile, fatuo, il preconcetto.

Dobbiamo liberarci da ciò che ci è stato messo addosso, che sono sempre le cose che vorrebbero gli altri per noi, non sono mai le cose che noi vogliamo per noi stessi.
Penso che voi siate stati cresciuti con l’idea che sia necessario eliminare il dolore dalla vostra vita. Voi giovani siete, perlopiù, passati attraverso una pedagogia della falsa felicità, non una vera pedagogia della vita, bensì una specie di fiction, una cosa da telefilm, da soap opera. Tant’è vero che i dolori, la morte, li avete sempre capiti ed interpretati come pura fiction, come eventi da romanzo.
Al contrario: il dolore è quotidianità. Il dolore fa parte della vita, non é una parte malata della vita, non sono macchie che dovremmo togliere dalla camicia, come se fossero qualcosa di ingombrante. È lo spettacolo della tragicità della vita. I Greci andavano al teatro ad assistere allo spettacolo della tragicità. La tragicità è qualcosa che non possiamo spalmare come la marmellata sul pane. La dobbiamo vivere. Vivere vuol dire prendersi cura anche del dolore che portiamo dentro di noi.

Se io crescessi con un’idea del dolore in stretta relazione della mia idea della vita, allora potrei conoscermi di più e avere meno paura della morte.
Il fatto è che il dolore è nella vita. In realtà, che cos’è la morte?

 È un’emozione. Il confrontarsi con la morte è un’emozione straordinaria, enorme.
Quante volte mi è toccato di sentire da genitori: “Sa, l’altro giorno è morto il nonno. Non l’abbiamo mica portato mio figlio. È troppo piccolo, sarebbe stata un’emozione troppo grossa”. Pensate che sacrilegio. Avete tolto a quel bambino per sempre un’esperienza straordinaria, che è quella di dire: “È morto?! E ora dove se ne andrà? Dove si va a finire dopo? Con chi andrò a comprare le paste? Qual è la vita che mi rimane? Cosa mi ha lasciato?” Mi spiego? Questo è il senso della vita, non è un puro parlare della morte. È dare, al contrario, un senso alla vita che rimane.
Quindi  anche il trauma della morte può avere un aspetto positivo?

 Il trauma possiede sempre un aspetto positivo, poiché la vita è al lordo di tutto. È inutile che stiamo lì a togliere una cosa o un’altra.
chi è che ha il diritto, se esiste mai questo diritto, di cancellare dalla memoria di un uomo quell’esperienza? Guai, se qualcuno di noi disponendo di una neurochimica avanzatissima o di strumenti speciali per poter cancellare quella memoria volesse farlo!
Ciò vorrebbe dire uccidere l’umanità stessa. L’umanità é fatta anche della memoria di un dolore, della memoria della nostra cattiveria, del limite stesso dell’umanità. Questa è parte della nostra vita!!!
Il dolore non corrisponde mai solo ad una pura perdita? Può essere una perdita e un’acquisizione. Questa è la cosa importante da tenere in considerazione…

…La lezione più importante che l’uomo possa imparare in vita sua non è che nel mondo esiste il dolore, ma che dipende da noi trarne profitto, che ci è consentito trasformarlo in gioia… R Tagore
 Come influisce il rapporto tra genitori e figli sulla crescita personale:
Le scelte dei genitori possono influenzare la crescita dei figli,spesso i figli fanno proprio il contrario di ciò che i genitori hanno deciso per loro.
Ma in che misura l’irruenza dei genitori può influire sulla vita futura del ragazzo?
I genitori non sono tutti dei buoni genitori. Alcuni sono positivi, non creano vuoti. La droga,ad esempio, è ciò che si usa per riempire un vuoto. Tant’è vero che si chiama ‘buco”. Metaforicamente parlando il “buco” è un vuoto, e ci metti dentro l’eroina per riempirlo. Il giovane tossicodipendente si illude che quel vuoto possa riempire, mentre quel vuoto è un vuoto di affetto, di emozioni, di coccole.
Un libro molto carino che è “Enciclopedia dell’adolescenza”, edito da Einaudi, il cui brano che vorrei proporvi è Complicità dice:

“Guardo dalla finestra dello studio di mio papà. C’è il vento, gli alberi si scatenano. Guardo i suoi libri, le sue notazioni prese su bigliettini sparsi sulla scrivania. C’è anche una frase in latino con la traduzione: “Tanta è l’arte che l’arte non si vede”. Io da grande vorrei essere come lui, come il mio papà, perché ammiro la sua fede in quello che fa. Lui ama la letteratura, l’arte, lui ha degli occhi blu pazzeschi, sempre in cerca di cose nuove, di piccoli particolari che gli arricchiscono lo spirito. Tra me e lui c’è una bella intesa, forse perché quando ero piccola siamo stati molto insieme e insieme inventavamo dei giochi che solo noi due conoscevamo. Poi sono cresciuta. Sono cresciuta e i nostri giochi, senza che ce ne siamo accorti, lentamente sparivano nelle nostre vite.”

Questo è un passo bellissimo, sul significato di essere un padre, la necessità di essere così. Questa complicità può creare un pieno, non un vuoto. Poi nella vita farai quello che ti pare, ma avrai questo pieno dentro. Farai l’artista, farai quello che vorrai. Potrebbe darsi anche che quella voglia di essere come tuo padre possa mutare nella vita, diventando un’altra cosa. Ma avrai sempre questo grande pieno dentro.
Questa è una cosa stupenda. Questa complicità la cerchi negli altri. Se ti hanno insegnato il segreto delle emozioni, poi le cerchi nella vita. Non ti accontenti di una roba mediocre, di un giovanotto qualsiasi, vuoi il grande amore. E non hai paura di perderlo perché sai che ne potrai trovare altri. Questo è eccezionale.
Quanti papà sono così? Quelli che arrivano alle dieci e mezza la sera, stanchi, bolsi, arrivano lì, si mettono davanti alla televisione, non ascoltano niente. Quello cos’è? È un padre quello lì? È uno spermatozoo, cresciuto e basta. Che rapporto puoi avere con un padre così? Nessuno. Non é emozionante un padre così, é un produttore di vuoti.Ci sono dei genitori che riescono a fare in un week-end quello che non hanno fatto nei cinque giorni precedenti. Ma almeno un week-end ci deve essere. Quest’idea che il padre sia una figurina, da mettere come un poster, questa è un’idea che funziona quando tutto va bene, ma poi, quando hai un problema davvero, non hai più bisogno di una figurina e non hai più bisogno di venti minuti a cena. Hai bisogno di qualche cosa. E allora un padre lo deve capire. Non quando glielo chiedi tu, lo deve capire prima che tu lo chieda, questa è la nostra sensibilità di adulti.

“Regala ai bambini radici profonde, da grandi avranno le ali.” R.Tagore

 leggi qui l’intervista completa http://www.emsf.rai.it/grillo/trasmissioni.asp?d=183

Il respiro del tempo di una “doppia” vita così…

Una birra. Una sigaretta morbida. Un concerto all’aperto.
I nostri duplici monologhi che passano per conversazione, la nostra continua e confusa preoccupazione per l’opinione degli amici.
Poi, il primo abbandono.
Lo sconcerto di fronte all’insensatezza del dolore.
No, non puoi capire davvero: nessuno può capire.
Nessuno soffre il mondo quanto io sto soffrendo adesso.
Lo stereo. La moto. La prima stanza presa in affitto.
I nostri genitori che non seguono le leggi tradizionali della prospettiva ma diventano sempre più piccoli mentre ci avviciniamo a loro.
Le vere dimensioni saranno evidenti solo in seguito, troppo tardi. Si urla allo stadio. Si urla ai concerti. Si urla in mezzo al traffico. Inizi a compilare curriculum vitae.
I diari abbandonati. I progetti disillusi. Poi, senza rendertene conto è già da un po’ di tempo che ti ritrovi la stessa persona nel letto, e così aprite un conto in banca congiunto ed è allora che è giusto fare un figlio, anche per non sentirsi troppo soli, ma questo non lo si ammetterà mai. La rate per la macchina. I contributi per la pensione. L’abbonamento alla tv satellitare.
Lavoriamo e dormiamo. Lavoriamo e dormiamo.
A volte, sogniamo. Fine settimana. Rilassarsi e divertirsi.
Si parla di libri e di film e di cronaca nera senza la minima consapevolezza, senza la minima voglia.
Lavoriamo e dormiamo. Lavoriamo e dormiamo.
Senza rendertene conto inizi ad odiare. Ad avere paura. Ad avere sempre più fretta. Fine settimana. Il calcio.
Il divano. Un whisky senza ghiaccio. Progettare le ferie. Iniziare un hobby per poi lasciarlo.
Martedì palestra. Mercoledì aperitivo Giovedì sesso col partner
Lavoriamo e dormiamo. Lavoriamo e dormiamo. Il figlio cresce. Si rotola a terra.
La madre grida di non sporcarsi. Fine settimana Dimentica tutto. Tutto. Divertiti. Urla. Balla fino allo svenimento Poi, il lunedì i primi malesseri ricorrenti. La complessa politica dell’amarezza e dell’invidia.
I primi vuoti di memoria. Persone che non rispettiamo e con cui dobbiamo essere gentili.
Umiliazioni devastanti e pure così continue da non essere più rilevabili.
Guardare le foto dei nostri genitori. Scoprirci uguali ad essi.
La stessa sottomissione. Iniziamo a spaventarci.
Davanti allo specchio, mentre ci abbracciamo da soli, non ci riconosciamo più.
Come sono diventato così? Che cosa ero prima di diventare questo? Dove ho sbagliato? Quando?
Ripercorrere con la memoria tutta la propria vita.
Cercare l’errore. Il punto di non ritorno. Non trovarlo.
Andare a dormire, stanchi, come i baci scambiati col partner.
Lavoriamo e dormiamo. Lavoriamo e dormiamo. Fine settimana. Una dieta ipocalorica.
Una trombosi coronarica. Un esaurimento nervoso.
L’odio e la paura aumentano. I contrasto con il figlio per la lunghezza dei capelli, aumentano.
I litigi col partner aumentano. Primi propositi di suicidio – (tratto dal libro “Rembò”- di Davide Enia)

L’ALTRA VITA:
Una, birra ,nessuna sigaretta, adoro il profumo dell’erba e dell’aria pulita,
la gioia nel respirare a piene narici, intensamente, la sua freschezza nelle sere d’estate, affiancata dalla compagnia di amici.
Di riempirmi di risate autentiche, confessioni, parole frivole e frasi che sbucano fuori dal vissuto di ognuno di noi: che piacere immenso!
Il dolore che ti fa crescere,
che ti rende più consapevole di te stesso e di comprendere gli altri, più capace di concretizzare il tuo amore.
Le prove della vita che ti inchiodano ai tuoi ideali, che limano il carattere (se ce l’hai) che fanno cadere ripetutamente, così da diventare più forte, nel guardare la vita a testa alta, nel difenderti dalla menzogna e l’impudicizia.
Le esperienze che ti segnano, se ne vuoi far tesoro, che ti incidono il senso di ogni cosa.
Un significato recondito da scoprire sotto la corteccia dell’apparenza, una reale e concreta bellezza che vuole essere svelata e che diviene, una volta scoperta, la forza che cercavi….
Le scarpe da ginnastica che ti portano nel mondo, le corse affannate, le passeggiate rubate, i rumori e fruscii del parco che ti solleticano l’io.
I grilli e le cicale nelle sere d’estate, gli uccelli che ti danno il buongiorno di prima mattina. Il suono di ruscelli nascosti che scendono lungo i versanti di un solito posto, le foglie nel vento che segnano un andare e (di)venire… metafora della tua evoluzione.
….E ti sembra che il cuore ti si fermi di colpo, perché tanta magia ricca di significato sembra impossibile.
I tuoi piedi che hanno un ritmo tutto loro, la tua libertà di vivere dentro fino in fondo le casualità della vita, ed il suo ritmo da assecondare.
C’è un tutto che diviene musica , che segna la tua strada… è un ritmo interiore armonico, una sensazione di benessere, un percorso che il sole scalda ed illumina tutto il tuo cammino.
…insieme alla persona che da tempo ti dorme accanto, compagna di avventure,di sogni, di scontri e confronti, di luce e di bui, inseguiti e scoperti insieme.
Piccole (grandi) cose, uniche, così come il profumo della sua pelle, il sorriso che ti abbraccia al tuo risveglio ogni mattina, il suo abbraccio avvolgente.
Non un semplice contatto, bensì un comunicare appartenenza e calore che riuscirebbe a riempire anche il vuoto più profondo…
I tuoi sogni che da semplici pensieri prendono forma e si concretizzano.
Essere per qualcuno il mondo, sentirsi potenziali “eroi”, perché per quel qualcuno saresti pronto a dare la vita, senza pensarci nemmeno un istante.
La consapevolezza dell’esistenza del male, conoscere la paura fin dentro le ossa, quella di morire senza aver concluso niente di importante, di non essere stato abbastanza… di non aver amato del tutto fino in fondo, di non aver conosciuto tutte le sfumature della vita.
La consapevolezza di aver fatto esperienza di cosa sia il “bene”, del potere immenso dell’amore, della straordinaria bellezza delle cose, delle meraviglie umane e non, da cui nasce la fede nella vita.
Dolce sonno, che ti avvolge la sera, lavoro che dà uno stipendio, che ti realizza, che dà la possibilità di contribuire al mondo, alla gioia di chi ti vive accanto.
Dormire come decantare le azioni del giorno, lavorare come donare qualcosa al mondo, amare semplicemente anche solo con uno sguardo, condividere, gioie e dolori… VIVERE!!!
Ti sei mai chiesto quale sia la sfida più grande?
Essere capaci di sorridere anche solo per una folata di vento che disegna sulla propria testa acconciature futuristiche…
Se si sapesse pregare non per ottenere qualcosa, bensì per essere semplicemente “umani” ,capaci di perdonare, ricominciare da zero, rivoluzionare sè stessi.
Se si riuscisse a capovolgere ciò che si ha dentro e diventare testimoni con la propria vita di un atto d’amore incessante e perpetuo, di rispetto e di Fede in essa, sempre!
Ora Comincia davvero il tuo VIAGGIO, anche solo con uno “zainetto” di speranza. Ascoltati in silenzio, regala qualcosa di te, bevi l’alba come una tazza d’acqua sorgiva e fai provviste di tramonti, dai il giusto peso alle voci del mondo ed affronta con tutto te stesso ogni incognita…

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  È così che si diventa Grandi… apprendisti di felicità!

 

Anime in Fuga

L’arrivo dell’estate mette gli u(a)mori in fuga.


Nelle menti  nascono idee, fragori  che balzano fuori da uscite di sicurezza ignote alla solita routine. Sarà che il cervello  va in fumo facilmente, mentre brucia la voglia di evasione.

Si aspetta sempre che l’acqua  arrivi alla gola, che il piede affondi nella sabbia,  si corre ai ripari, sotto un ombrellone  che  non ripara le scottature del cuore.  
Io non cerco un’ ombra apparente, piuttosto nuoto verso  l’isola sconosciuta al mio cuore.
 
 Sono un ‘Apprendista, che oltre lo spazio ed il tempo, cerco un luogo, una dimensione dove i colori si uniscono ai fili dell’anima. Ed il vento canti ciò che non ho ancora esplorato.

 Negli  miei  occhi si può scorgere il profilo di quella terra sognata, si intravede oscillare come un ‘amaca sospesa, la meta custodita silenziosamente  nella  mia  intimità.

 Ognuno  credo sogni un posto tutto suo, un rifugio, dove risiedere oltre gli eventi e le burrasche di ogni tempo.

Ed è lì che si corre appena si può.

Perché siamo come sabbia e sale. Inafferrabili, sfuggenti, e solubili solo a metà.

Divisi  da dune di solitudine, ancorati alla nostalgia del tempo che fu, perché è il più facile ed immediato  toccare quel rifugio.
La terra promessa, si sa, è da ricercare in nuovi mari inesplorati, ed il nuovo ci mette davanti un orizzonte troppo vasto e disorientante.

 Si dice che le isole non sanno custodire i segreti del cuore. Sono naturalmente esposte a sussurrarli ai venti a depositarli nelle braccia di nuove terre.

Sono  naturalmente aperte ad accogliere senza riserve, noi esseri “umani” ancora no.

 Cerhiamo insenature…

Trovare le strade che conducono a sé…

Chi non ha mai vacillato nell’acqua melmosa delle proprie insicurezze?

Chi non ha dovuto scalare strade intricate e d in salita, per imparare a riconoscere la propria incapacità di sentirsi unico e speciale, semplicemente per ciò che si è?

Sin da bambini si cerca di percepire il proprio valore, attraverso lo specchio dello sguardo altrui, per prima quello dei nostri genitori, diventa via via un marchio a fuoco che segna per la vita il modo in cui dovremo amare noi stessi e come vorremmo essere amati e considerati dagli altri.

E’ possibile essere amati se non si è convinti di essere amabili?
Da dove deriva questa difficoltà di darsi un valore?
 Amarsi è la premessa per una vita piena e armonica, per una percezione di sé degna di essere felice. Rispettarsi, come (ri)conoscere i propri interessi profondi al di là dello sguardo degli altri, è fondamentale per imparare ad essere felici.

Volersi bene non è un segno di orgoglio o egoismo, è una corona di sentimenti e valori positivi, tra cui l’ autostima, di cui creare le fondamenta del proprio Io.

Spesso nonostante ci si sente intelligenti, non si è affatto vincenti.Come si fa a far venire fuori il meglio di sé?

 In realtà quello che si pensa di se stessi sono auto svalutazioni come:
“Non valgo niente… Non sono degno d’amore…. Sono un buon annulla”


A volte lo sguardo di un genitore, un atteggiamento poco amorevole, una scarsa considerazione dei suoi desideri e delle cose che lo riguardano si traduce in una frase :” tu non sei nessuno” un condizionamento negativo per la propria vita che conduce ad essere soddisfatti per i propri fallimenti.Quando tutto sembra andare bene, ci si spaventa e si abbandona il campo, per paura di un successo che condurrebbe in un territorio sconosciuto.

 

Queste persone sono rassicurate solo dal fallimento delle proprie imprese.
Dietro le ripetizioni dei propri insuccessi si nasconde un comportamento che blocca l’individuo in uno schema e lo porta ad arenarsi.
Riuscire, infatti, sarebbe come rompere un patto….
Scontenti di sé stessi, si vaga a vuoto, nell’infinito girone della ricerca di qualcosa che possa dare senso alla propria vita , affidandola al “destino” nella speranza di una Svolta…
In realtà la strada da intraprendere è ritrovare il capo di quel filo che conduce alla parte più intima di noi e cominciare a parlarLe, a buttare fuori ciò che va e che non va, costruire con le proprie ferite, il rovescio di una Nuova vita dove il comandamento è un mantra: IO VALGO!67/365 Spring Forward!


 

Ho sentito che Creavo

Chissà quante donne si chiedono cosa si prova nel mettere al mondo una vita…

Chissà quante non lo hanno mai saputo e non lo potranno mai sapere…

Chissà quante, impaurite, hanno detto “No” a questa esperienza che unisce in un “per sempre” una madre ed un figlio…se gli permettiamo di accedere tramite quel primo respiro…

Per cinquant’anni Gigliola ha aiutato giovani donne a vivere il momento più bello della loro vita.

    Gigliola, racconta l’unicità, il mistero e la poesia di ogni parto e l’attesa, l’emozione, la gioia di ogni madre.

 La nascita di ogni essere umano implica la partecipazione del Creatore che gli ha infuso l’anima come al primo uomo. Forse dipende da deformazione professionale (ho fatto per 50 anni l’ostetrica), ma mi sembra che la donna sia più vicina, più partecipe a questo grande mistero forse perché l’accendersi della prima scintilla della vita umana avviene all’interno del suo corpo.Gigliola Borgia (ostetrica)

“Vita, sorgente che scaturisce da una culla e si getta nella pienezza dell’eternità”.

È così straordinario, miracoloso, quello che avviene nella donna fin dal concepimento del figlio! la prima “culla” del bambino, l’utero materno, che dai pochi centimetri di spazio iniziali può arrivare a dare como­do asilo fino a termine di gravidanza a un bambino (anche a più bambini nel caso di gemelli) di peso rispettabile. Gli scambi, i messaggi che intercorrono fra la mamma e il bambino nella frenetica attività vitale durante la vita prenatale rivelati ampiamente dalle ricerche scientifiche, sono un vero prodigio che dilata non solo i confini del suo corpo, ma di tutto il suo essere

Ho avuto il privilegio di assistere mam­me di tutte e quattro le razze umane e sempre mi ha colpito questa uguaglianza: stessi comportamenti e reazioni, uguale vocalità, uguale atteggiamento di attesa di qualcosa più grande di lei. La legge di natura non fa eccezioni e certe sovrastrutture create dall’ambiente, dall’educazione crollano, riportando la donna a uno stato primordiale. Tutto questo si verifica anche nella più indesiderata maternità.

Rifiutata in un primo tempo, una volta accettata gratifica la donna di questa esperienza di donare la vita che non ha l’eguale nel vissuto umano.
“Ho sentito che creavo”, mi ha detto una ragazza che si trovava in una situazione talmente difficile che non le permetteva di tenere il bambino con sé…

 Questo bambino, non ancora nato, è stato concepito per una grande cosa: “Amare ed essere amato”- M.Teresa di Calcutta

Siamo tutti artefici del proprio destino, dotati di libero arbitrio fino al confine della nostra vita, non quando la vita appartiene ad un altro essere umano, che per nascere, vivere in questo mondo, ha bisogno di noi!

L’angelo della Shoah ed il progetto life in Jar

 

Nel periodo più buio  che questo mondo abbia mai conosciuto, una donna, Irena Sendler, ha rischiato la sua vita per salvare la vita di 2500 bambini . Un angelo, candidata della Polonia al premio Nobel per la pace, che  non riconosceva nel suo operato l’eccezionalità, ma di aver fatto quello che qualsiasi altro uomo avrebbe compiuto.

Oggi è la risposta a ciò che spesso ci chiediamo per il futuro dei giovani. Una finestra che spalanca di speranza e di luce il cuore di chi, come la mia amica Giulia, si chiede, cosa si possa fare per il futuro umano, per gli altri.

Trovo che la testimonianza dell’esperienza umana di questa donna, morta il 12 maggio scorso, possa essere luce per tanti ,grazie  anche alla traduzione del suo operato, in un progetto che è  un opera recitata nelle scuole:
Life in a Jar (la vita in un barattolo)

La storia della vita di Irena fu divulgata al mondo nel 1999 da alcuni studenti di un college del Kansas che hanno lanciato un progetto per salvaguardarne la memoria. Lo riproposero a numerosi club, organizzazioni religiose e gruppicivili della comunità, sia nello stato del Kansas, sia un po’ ovunque negli Stati Unitie in Europa (170 rappresentazioni fino all’Ottobre 2005).

Il valore di questo progetto cominciò crescere notevolmente, insieme ai numerosi sostenitori; le ragazze scrissero ad Irena ed ella rispose  inviando loro lettere piene di profondo significato, dicendo loro cose come: “la vostra recita e il vostrolavoro sono il proseguimento dello mio sforzo di oltre cinquant’anni fa, siete le miecare ed amate ragazze.”

Nei loro compiti a casa scrivono regolarmente frasi come: “Sto cambiando il mondo” e “La storia diIrena deve essere raccontata”

 

Utilizzando questo progetto gli studenti stanno allargando la classe all’intera comunità mondiale in molti modi: pubblicano le interviste, recitano di fronte ad un pubblico sempre più ampio, mettono le lettere di Irena a disposizione di studentied educatori (sono state richieste e spedite copie a più di 250 scuole) e sis ottopongono ad interviste con la stampa locale e nazionale.

Gli studenti sono stati largamente contattati per la possibilità di creare un libro o una registrazione.

 Il progetto ha dato il via ad una comunicazione crescente tra le famiglie della nostra comunità e tra le varie comunità del paese.

Credo che la vita vissuta così con rispetto e per gli altri è l’unico esempio reale che possa dare  indicazioni per i giovani, su quali sono i reali valori da incarnare.  Credo nel grande potenziale di questo progetto, se magari qualche educatore anche in italia potesse metterlo in atto nelle scuole, magari come musical, coinvolgendo i giovani in una messa in scena  di un reale “psico-dramma”  influenzerebbe sicuramente le proprie vite, cambiandole radicalmente!

 Qui, nero su bianco, incido il mio immenso Grazie ad Irena Sendler edivulgo la sua storia, nella speranza di vedere ancora un futuro espressione d’amore fraterno per ogni vita!

 

http://www.irenasendler.org/

 

La storia di Irena:

 

Confesso che leggendo quello che ha fatto durante l’occupazione nazista della Polonia, ho ritenuto giusto che  tanti potessero  conoscerla. Irena Sendler è morta a novantotto anni, ma avrebbe dovuto essere giustiziata nel 1943 dai nazisti. Viveva a Varsavia, ed era un membro della “Zegota” il gruppo della resistenza polacca che si occupava dell’aiuto agli ebrei. Era un’operatrice sociale della chiesa polacca. Si occupò dei bambini; indossava un’uniforme da infermiera, con una stella di David appuntata sul petto, per entrare nelle zone sotto diretto controllo tedesco, e consegnare cibo, medicine, vestiti e vaccino anti-tifo.

 

 Dopo che fu chiaro che i piccoli ebrei venivano inviati a Treblinka, la Zegota decise di cercare di salvarne il maggior numero possibile. Riuscì a portare fuori dal ghetto 2500 bambini, in maniera strabiliante,  affidandoli a famiglie polacche, orfanatrofi o conventi, nella speranza di poterli restituire un giorno alle famiglie,. Una bambina fu portata via nascosta in una scatola di strumenti da meccanico; altri furono fatti scappare in bare, valigie, e borsoni; altri ancora trovarono la fuga attraverso il sistema di fogne. Irena Sendler tenne un registro dei nomi di tutti i bambini che salvò,  scritti su foglietti nascosti in vasi sepolti in un giardino, nella speranza che potessero poi  riunirsi alle loro famiglie un giorno.
Nella notte del 20 ottobre 1943 la sua casa fu invasa dalla Gestapo; voleva gettare dalla finestra il registro, ma non poteva, perché c’erano soldati anche fuori. Allora lo gettò a una collega, che riuscì a nasconderselo addosso. Sendler fu portata alla prigione di Pawiak, dove fu torturata: le ruppero piedi e gambe, ma rifiutò di tradire e di rivelare i nomi dei complici e delle persone presso cui vivevano i bambini. Infine fu condannata a morte. Un membro della “Zegota” riuscì a corrompere uno dei guardiani, e a farla scappare. Tornò a lavorare, con una nuova identità, e seppellì il registro in un’anfora sotto un albero di mele, nel giardino di un amico. Nel 1965 divenne la prima dei “Giusti” onorati a Yad Vashem, ma il regime comunista non le diede il permesso di andare in Israele.
Finita la guerra, Irena consegnò la lista ai leader della comunità ebraica. Molti bambini e ragazzi vennnero ritrovati, affidati a brefotrofi polacchi o mandati in Palestina. “Ho fatto quello che bisognava fare e non ho avuto paura” diceva del lavoro di salvataggio. “I veri eroi non siamo stati noi, che abbiamo dato una mano, ma i bambini e i genitori, che dovettero separarsi in modo così crudele”.

 

Dovette attendere il 1983 per ricevere di persona quel premio. Nel 2003 la Polonia finalmente le concesse la massima onorificenza, l’Ordine dell’Aquila Bianca, e fu candidata al Premio Nobel per la Pace.

La lista di Irena è due volte più lunga di quella di Oskar Schindler.

“Era un inferno, grandi e piccoli morivano in strada a centinaia, sotto lo sguardo silenzioso del mondo intero” diceva del ghetto.

 I nazisti uccisero nei campi di sterminio la maggior parte delle 450 mila persone prelevate nel ghetto della capitale polacca, che fu distrutto nel 1943 in seguito a un’insurrezione. Il rabbino Michael Schudrich ricorda che la Sendler ha sempre negato di essere un’eroina, e diceva di “essere semplicemente rimasta normale, quando tutto il mondo sembrava impazzito.

Per questo il suo nome resterà inciso per sempre nel cuore vivo di Israele.
Insieme all’albero che sorge in sua memoria in quel luogo di cordoglio metafisico che è Yad Vashem.

Diamo una mano di Bianco

Le scarpette da ginnastica o da tennis hanno ancora un gusto un po’ di destra, ma portarle tutte sporche e un po’ slacciate è da scemi più che di sinistra.

Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra.

I blue-jeans che sono un segno di sinistra con la giacca vanno verso destra il concerto nello stadio è di sinistra, i prezzi sono un po’ di destra.
Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra.
Destra-sinistra

Basta!

“La sinistra non è mai stata tollerante con chi è critico, ha sempre visto la critica come antagonismo, non esiste possibilità dialettica.
Io mi ritengo di sinistra, ma non mi riconosco nella sinistra dei partiti né di oggi né di ieri.
Sono dalla parte dell’individuo, non so se questo può essere considerato di destra.
Oggi poi i valori della sinistra non sono più quelli di una volta: per esempio, non mi sento apparentato con la grande industria.
Noi di sinistra viviamo una grossa contraddizione in questo momento: siamo contro il mercato, però abbiamo capito che senza mercato saremmo più poveri.
Eppure sappiamo che il mercato annulla le coscienze, ci rende più stupidi.” – G.Gaber
Io sono un uomo nuovo
per carità lo dico in senso letterale
sono progressista
al tempo stesso liberista
antirazzista
e sono molto buono
sono animalista
non sono più assistenzialista
ultimamente sono un po’ controcorrente
son federalista.Il conformista è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta,
il conformista ha tutte le risposte belle chiare dentro la sua testa
è un concentrato di opinioni che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani
e quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire
forse
da buon opportunista
si adegua senza farci caso
e vive nel suo paradiso.

Il conformista
è un uomo a tutto tondo che si muove
senza consistenza, il conformista
s’allena a scivolare
dentro il mare della maggioranza
è un animale assai comune
che vive di parole da conversazione
di notte sogna e vengon fuori i sogni di altri sognatori
il giorno esplode la sua festa che è stare in pace con il mondo
e farsi largo galleggiando
il conformista, come tutti gli uomini, forse, cerca solo APPARTENENZA…

 L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
L’appartenenza non è un insieme casuale di persone, non è il consenso a un’apparente aggregazione
l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
L’appartenenza è assai di più della salvezza personale
è la speranza di ogni uomo che sta male, e non gli basta esser civile.
E’ quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa, che in sé travolge ogni egoismo personale, con quell’aria più vitale che è davvero contagiosa.

Uomini, uomini del mio presente, io non pretendo il mondo intero,vorrei soltanto un luogo, un posto più sincero, dove magari un giorno molto presto
io finalmente possa dire questo è il mio posto.
Dove rinasca non so come e quando, il senso di uno sforzo collettivo per ritrovare il mondo.
Sarei certo di cambiare la mia vita se potessi cominciare a dire Noi.

Gli spettacoli servono anche a far crescere la consapevolezza delle proprie contraddizioni, dei propri malesseri. -G. Gaber La Repubblica – 08/01/1998

Citazioni tratte da: Canzone dell’appartenenza- Il conformista- destra/sinistra  di Gaber – Luporini