Kofi Annan aveva identificato tre valori chiave per le Nazioni Unite: integrità, rispetto per l’individuo, rispetto per la diversità. Ma nessuno, di fatto, pareva riuscisse a seguire questi valori e tutti si lamentavano, anche se il loro significato sembrava palese. Il punto è che i valori non hanno significato proprio; se non specifichiamo prima che cosa significano per noi, restano delle mere astrazioni. Spesso si enunciano i propri valori ma non si sa cosa comporterà, concretamente, per attuarli. Non si specificano le azioni da intraprendere né quando si potrà dire che un valore è stato realmente attuato. In fondo i valori sono parole. Non si concretizzano per magia o perché sono stati dichiarati. C’è di più. Attuare valori richiede anche il possesso di specifiche competenze che non è detto che le persone posseggano. Eppure sono proprio i valori e quel senso più alto che fanno conferire significato al lavoro quotidiano, sino a completarlo e trascenderlo al proprio “essere”. “Risvegliare” tutti i livelli (neurologici) del nostro essere per diventare consapevoli di chi siamo (o chi decidiamo di diventare) nelle performance che veniamo chiamati a realizzare è l’imperativo interiore di ogni essere umano. Il tam tam mediatico ed il silenzio assordante dei senza voce apre sempre più un netto contrastante divario dalla “realtà”.
La mondializzazione in atto, di fatto, va di pari passo a quella che possiamo chiamare atomizzazione dell’essere. Siamo sempre più delocalizzati. Sfuma il nostro legame con il territorio, tutto è sempre più globale. Gli esempi sono sotto gli occhi di chiunque: la frutta del mercatino rionale proviene da un altro continente, la macchina che guidiamo è coreana, i programmi televisivi format americani.
Il rischio è che l’individuo diventi un solitario, un orfano, che perda il suo legame con il mondo.C’è chi parla di decreazione umana, in quanto l’uomo è tale come essere sociale, e se perde la sua socialità perde il suo essere uomo. I primi rischi di questo fenomeno sono la disattivazione della democrazia, che si fonda sulla partecipazione popolare, e la sua implosione. È in atto un processo di desertifizione della storia perché, secondo questa logica, non vale la pena occuparsi degli altri e dunque non vale la pena pensare all’avvenire. Chi ha combattuto una vita per questo era Raoul Follereau, uno straordinario esempio di generosità e di coraggio, nonché un vero e proprio faro per tutti quelli che hanno a cuore le sorti del mondo e dei diseredati. Per tutta la vita Follereau denuncerà l’egoismo di chi possiede e di chi è potente, la vigliaccheria di “coloro che mangiano tre volte al giorno e s’immaginano che il resto del mondo faccia altrettanto”. Senza posa, egli suscita iniziative originali, dichiarando: “Nessuno ha il diritto di essere felice da solo” e cercando di instaurare una mentalità che porti le persone ad amarsi le une con le altre.
Il flagello della guerra faceva orrore a Raoul Follereau, perché egli puntava sull’amore. Con la forza delle immagini di cui aveva il segreto, scrive: Avete visto una frontiera? È una barriera di legno con i poliziotti da ogni lato.
Da ciascuna parte, gli alberi sono gli stessi e il cielo è lo stesso, la gente si parla sopra la frontiera e si dà la mano… Fino al giorno in cui gli uomini che li governano li vestono qua di blu e là di rosso e ingiungono a loro di uccidersi. E si uccidono.
Cosciente delle minacce atomiche che incombono sull’umanità, lanciava nel 1949 la sua campagna Amarsi o sparire, con un manifesto Bomba atomica o carità, in cui scriveva: Catena di morte o catena d’amore.
La Regina Elisabetta riprese lo stesso pensiero e gli stessi termin nel suo messaggio annuale al Commonwealth.
Fu allora che egli proferì il grido appassionato Bisogna mobilitare le coscienze, un grido che è stato considerato come un appello a una sorte di obiezione dì coscienza affinché gli scienziati del mondo blocchino l’ingranaggio della morte.
Conosciamo i due appelli de Raoul Follereau ai leader dell’Est e dell’Ovest: Datemi ciascuno un bombardiere, uno solo… prendendo così sui bilanci di morte la parte dei poveri, degli oppressi.
Poiché i suoi appelli ai due grandi sono rimasti senza risposta, con ostinazione scrive al Segretario generale dell’ONU per chiedere che tutte le nazioni decidano che ogni anno, in occasione della Giornata mondiale della Pace, prelevino dai loro bilanci il costo di un giorno di armamento per lottare contro la miseria, fonte di conflitti nel mondo. Un giorno di guerra per la pace!Raoul Follereau chiede ai giovani di appoggiare la sua richiesta mandando delle cartoline:Siete voi, che direte no al suicidio dell’umanità. Circa 100.000 giovani di 55 paesi hanno subito scritto all’ONU.
Gli ultimi 16 anni della sua vita, Raoul Follereau scrisse un appello annuale ai giovani. Nel 1977, anno della sua morte, il suo messaggio prese la forma di un testamento alla gioventù del mondo di cui fa la sua legataria universale. Cito queste righe:
“Giovani di tutta la terra, sarete vo ia dire no al suicidio dell’umanità. Amarsi o sparire; Amarsi gli uni gli altri. Non a certe ore, ma tutta la vita.
Di fronte alla complessità, al groviglio dei problemi, siamo tentati di dire a noi stessi: la pace dipende da mani più esperte dalle nostre. Certo, la pace ha bisogno di specialisti, ma essa è anche nelle mani dì tutti noi, passa attraverso mille piccoli gesti della vita quotidiana. Ogni giorno, nella nostra maniera dì vivere con gli altri, scegliamo di essere pro o contro la pace.” A questo scopo che ho fondato l’Ora dei Poveri, che domanda a ciascuno di devolvere almeno un’ora all’anno del suo stipendio a sollievo degli infelici. Gesto semplice, facile a farsi, alla portata di tutti, ma che porta in sé un significato commovente. A servizio di quelli che egli chiama “la sofferente minoranza oppressa del mondo”, Raoul Follereau ha percorso 32 volte il giro del mondo, visitando 95 Paesi. E’ senza dubbio l’uomo che ha avvicinato, toccato, baciato il maggior numero di lebbrosi. Il suo esempio resta inciso nella memoria, espandendo i cuori, ricordando che non basta semplicemente asciugare le lacrime, troppo facile, bisogna essere consapevoli che non bisogna più accettare ed essere soddisfatti e contenti semplicemente aspettando la nostra piccola porzione di paradiso, dobbiamo rifiutare un piccolo sonnellino e non dobbiamo dormire quando tutti gridano intorno a noi la loro disperazione, non dobbiamo più accettare quel tipo di esistenza che è la costante rassegnazione dell’uomo, non possiamo più accettare di essere felici da soli quando di fronte a noi c’è la miseria, l’ingiustizia, non dobbiamo mai smettere di denunciare e mai cedere, ma sempre combattere!